Dimissioni – Modalità di comunicazione da parte del lavoratore – Novità del DLgs. 151/2015

Con il DM 15.12.2015 (G.U. n. 7/2016), dal 12.3.2016, chi intende comunicare dimissioni e risoluzioni consensuali dal lavoro dovrà necessariamente registrarsi al sito internet www.cliclavoro.it e richiedere il Pin all’Inps oppure dovrà rivolgersi ai soggetti abilitati (sindacati, patronati ecc..).
In particolare, la nuova procedura prevede che tali comunicazioni vengano fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli, che consentono tre opzioni:
-dimissioni;
-risoluzione consensuale;
-revoca, relativa alla comunicazione delle dimissioni o della risoluzione consensuale, da inviare entro 7 giorni dalla data di trasmissione.
Se il lavoratore sceglie di fare tutto da sé, dovrà, dopo aver richiesto il Pin all’Inps, registrarsi al sito cliclavoro del Ministero del Lavoro e procedere alla trasmissione on line della comunicazione al datore di lavoro.
Se il lavoratore si avvale di un soggetto abilitato, quest’ultimo dovrà accertare l’identità del lavoratore.
Per la nuova procedura rimane operativa la maxi- pena a carico del datore di lavoro (sanzione amministrativa che va da 5 mila a 30 mila euro per il datore di lavoro che alteri i moduli telematici).

Collaborazioni coordinate e continuative organizzate dal committente – Disciplina applicabile dall’1.1.2016

Dall’1.1.2016 alle collaborazioni organizzate dal committente si applica l’identico trattamento retributivo, previdenziale, normativo e contrattuale previsto per il rapporto di lavoro subordinato (art.2 del DLgs. 81/2015). La circ. del Min. Lavoro n. 3/2016 precisa che, ad esclusione delle deroghe previste, affinché la collaborazione possa essere equiparata al rapporto di lavoro subordinato, debba possedere le seguenti caratteristiche:
-il carattere esclusivamente personale: il collaboratore non può essere una società di qualunque tipo, né può farsi sostituire da altri. Può, però, essere un piccolo imprenditore individuale;
-la continuatività: in mancanza di una quantificazione, è continuativa la prestazione che si svolga con una frequenza tale da far desumere sia l’interesse durevole del committente, sia l’impegno costante del collaboratore;
-la eterorganizzazione: la prestazione deve essere organizzata anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Inoltre, tutte e tre le condizioni richieste devono verificarsi simultaneamente.
La disciplina prevede, infine, che si svolga davanti alle commissioni e ai collegi di conciliazione la procedura di stabilizzazione dei collaboratori disciplinata dall’art.54 del DLgs. 81/2015, in vigore dall’inizio di quest’anno.

Cessione di terreni edificabili operate da imprenditori agricoli – Verifica del presupposto soggettivo

Come noto, le cessioni di terreni agricoli esulano dal campo oggettivo di applicazione dell’IVA a norma dell’art. 2 co. 3 lett. c) del DPR 633/72. Invece, le cessioni di terreni edificabili rientrano nell’ambito oggettivo IVA.
Pertanto, se un soggetto IVA cede un terreno agricolo, la cessione risulta senza dubbio fuori campo IVA e va assoggettata ad imposta di registro proporzionale (salva l’applicabilità di agevolazioni), mentre la cessione di un terreno edificabile, soddisfacendo il requisito oggettivo IVA, risulta imponibile se soddisfa anche il presupposto territoriale e soggettivo.
La verifica della sussistenza del presupposto soggettivo in capo all’imprenditore agricolo che ceda un terreno edificabile può nascondere talune criticità.
Vi è un orientamento giurisprudenziale (27576/2008), infatti, propenso ad escludere a priori la possibilità che tale cessione soddisfi il presupposto soggettivo IVA in quanto il terreno edificabile non potrebbe in ogni caso rientrare nell’ambito dell’attività agricola dell’imprenditore agricolo come definito dall’art. 2135 c.c.
Invece, l’Amministrazione finanziaria (cfr. la circ. 18/2013), seguendo un diverso orientamento giurisprudenziale (Cass. 3987/2000), afferma:
– l’imponibilità IVA della cessione operata dall’imprenditore agricolo che abbia destinato il terreno all’attività (agricola) dell’impresa;
– l’estraneità all’IVA e la soggezione all’imposta di registro proporzionale alla cessione di terreno edificabile che, pur essendo appartenente all’impresa agricola, sia estraneo all’attività della stessa.

Rettifica della rendita catastale – Motivazione adeguata – Necessità (C.T. Reg. Lombardia, sez. Brescia, 8.2.2016 n. 762/67/2016)

La C.T. Reg. Lombardia, sez. Brescia, con la sentenza 762/67/2016 ha ribadito il consolidato orientamento della Cassazione secondo cui l’accertamento catastale che non riporta un’adeguata motivazione è illegittimo. Inoltre, il giudice adito è tenuto a riscontrare la presenza di tutti gli elementi necessari per comprendere l’iter seguito dall’ufficio per la rettifica, a prescindere dall’eventuale difesa adottata dal contribuente.
La Suprema Corte, con la sent. 20251/2015, ha recentemente affermato che la motivazione dell’avviso di accertamento ha carattere sostanziale e non solo formale; non si tratta di un elemento utile solo a provocare la difesa del contribuente, poiché in realtà circoscrive l’eventuale successivo giudizio. In tema di atti catastali, l’orientamento è di considerare illegittimo il riclassamento che non indichi gli elementi necessari per comprendere le ragioni della variazione.
Infatti, l’atto deve contenere (tra le altre Cass. 23247/2014):
– la menzione dei rapporti tra valore di mercato e catastale nella microzona di riferimento, qualora la modifica sia stata avviata su richiesta del Comune;
– l’indicazione delle trasformazioni edilizie nell’ipotesi di variazione ai sensi dell’art. 1 co. 336 della L. 311/2004;
– l’indicazione dei fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li rendono simili all’unità oggetto di riclassamento, quando l’atto sia conseguente a un aggiornamento o un’incongruità rispetto ad altri immobili.

Regime forfetario – Calcoli di convenienza

Un aspetto di particolare convenienza nel regime forfetario riguarda la determinazione agevolata dei contributi previdenziali:
– riservata ai soli imprenditori individuali iscritti alle Gestioni artigiani e commercianti dell’INPS;
– consistente nella riduzione del 35% della contribuzione ordinaria, sia sul minimale di reddito sia su quello eccedente.
Analogamente al regime di vantaggio, l’importo dei contributi è deducibile dal reddito soggetto ad imposizione sostitutiva, con esclusione di tutte le altre spese sostenute nel periodo (posto che il reddito è determinato forfetariamente con applicazione di un coefficiente di redditività differenziato).
Con riferimento all’imposizione sostitutiva, va considerato che il reddito forfetario non concorre alla formazione del reddito complessivo per cui, ancorchè tassato con un’aliquota particolarmente favorevole, non consente di usufruire di eventuali deduzioni reddituali o detrazioni d’imposta. Tale aspetto va considerato da coloro che, non possedendo ulteriori redditi rispetto a quelli d’impresa o lavoro autonomo, sarebbero esclusi dall’utilizzo delle predette misure.

Società di comodo – Disapplicazione mediante interpello – Termini di presentazione

Per effetto del DLgs. 156/2015, dall’1.1.2016 l’interpello per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo si colloca tra i c.d. “interpelli probatori” di cui all’art. 11 comma 1 lett. b) della L. 212/2000.
L’istanza è facoltativa, ma nelle caselle “Imposta sul reddito-società non operativa” e “Imposta sul reddito-società in perdita sistematica” (righi RS116 di UNICO 2016 SC e RS11 di UNICO 2016 SP) occorre segnalare le alternative situazioni in cui versa la società (codice “1” in caso di accoglimento, codice “2” in caso di mancata presentazione e codice “3” in caso di risposta negativa, qualora si ritengano sussistenti le condizioni per la disapplicazione). Analoghe indicazioni vanno fornite ai fini IRAP e IVA.
La mancata indicazione del codice “2” e del codice “3” determina l’irrogazione della sanzione amministrativa da 2.000,00 a 21.000,00 euro ex art. 8 co. 3-quinquies del DLgs. 471/97.
L’interpello deve essere preventivo, a pena di inammissibilità. Il termine ultimo per l’invio dell’istanza è individuato nel termine per l’invio della dichiarazione (30 settembre per i soggetti solari). Tuttavia, posto che il nuovo decreto fissa in 120 giorni (anziché in 90) il termine entro il quale l’Amministrazione finanziaria deve fornire una risposta, nel caso di invio tramite PEC, il 20 marzo (120 giorni prima del 18 luglio, in quanto il 16 luglio cade di sabato) risulta il termine ultimo per ottenere una risposta in tempo “utile” per effettuare il versamento con la maggiorazione dello 0,4%. Se, invece, si utilizzano mezzi diversi (consegna a mano o plico raccomandato), il termine verrebbe anticipato al venerdì precedente, ovvero il 18 marzo.

Novità del DLgs. 81/2015 – Calcoli di convenienza

A seguito del ridimensionamento della portata dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato nel 2016, operato dalla L. 208/2015, l’apprendistato risulta più vantaggioso rispetto agli altri contratti di lavoro subordinato.
Nel riordinarne la disciplina, il DLgs. 81/2015 è intervenuto in particolare sulle forme di apprendistato c.d. “duale”, ossia l’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (primo livello) e l’apprendistato di alta formazione e ricerca (terzo livello), al fine di promuoverne la diffusione. Alle medesime tipologie sono destinati gli incentivi introdotti, in via sperimentale fino al 31.12.2016 e con la medesima finalità, dal DLgs. 150/2015.
In sintesi, le agevolazioni su cui possono contare i datori di lavoro sono di tipo normativo ed economico e consistono:
– nella semplificazione della parte normativa del contratto di apprendistato, stante l’adozione di modelli standardizzati;
– nell’esclusione da obblighi legali di “stabilizzazione”, mantenuti con riferimento al solo apprendistato professionalizzante;
– nell’ulteriore riduzione della contribuzione (dal 10% al 5%);
– nell’esonero dal versamento del contributo di licenziamento e del contributo dell’1,61% per il finanziamento dell’ASpI (oggi NASpI);
– in agevolazioni sul piano retributivo.

Agevolazioni per l’imprenditoria giovanile in agricoltura – Novità del DM 18.1.2016

In data 17.2.2016, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM 18.1.2016 che definisce i nuovi criteri di accesso al meccanismo agevolativo previsto per l’imprenditoria giovanile nel settore agricolo.
L’agevolazione consiste nell’erogazione di un finanziamento a tasso zero, a copertura del 75% delle spese ammissibili, e può avere una durata che va da un minimo di cinque anni a un massimo di dieci.
I soggetti che possono usufruire dell’agevolazione sono le imprese di dimensione micro, piccola e media che rispettano alcuni requisiti (anche riguardanti l’età dell’imprenditore, che deve essere compresa fra i 18 e i 40 anni non compiuti) e che propongono progetti di investimento per:
– il subentro nella conduzione di un’impresa agricola attiva da almeno due anni;
– programmi di sviluppo e consolidamento nei settori della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli.
I programmi di spesa, ammissibili fino all’importo massimo di 1,5 milioni di euro, devono essere diretti a migliorare il rendimento e la sostenibilità dell’impresa agricola, l’ambiente naturale, le infrastrutture o le condizioni di igiene e benessere degli animali.
Tuttavia, per la presentazione delle domande occorre ancora attendere l’adozione delle istruzioni operative da parte dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea).

Cartella priva di motivazione – Impugnazione nel merito – Legittimità – Condizioni (Cass. 25.2.2016 n. 3707)

La Cassazione, con la pronuncia 25.2.2016 n. 3707, ha ribadito che:
– la cartella di pagamento che non segue uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma che costituisce il primo ed unico atto della pretesa tributaria, deve essere motivata riportando l’indicazione degli elementi indispensabili per consentire il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione;
– ancorché risulti priva di motivazione, la cartella va considerata legittima qualora il contribuente, nell’impugnarla, contesti la debenza delle somme, così dimostrando di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione.

Contributi repertoriali dovuti dai notai alla Cassa di previdenza di categoria – Deducibilità dal reddito professionale – Effetti ai fini IRAP (C.T. Reg. Potenza 13.1.2016 n. 6/1/16)

La C.T. Reg. Potenza, con la sentenza 13.1.2016 n. 6/1/16, ha stabilito che i contributi repertoriali versati dai notai alla Cassa previdenziale di categoria sono componenti negativi deducibili dal reddito professionale (ex art. 54 del TUIR) e non oneri deducibili dal reddito complessivo del contribuente (ex art. 10 co. 1 lett. e) del TUIR).
Si tratta, infatti, di spese inerenti all’attività professionale, atteso che sono poste dalla legge direttamente a carico del professionista e non del cliente, per cui esse vanno corrisposte comunque e solo dal notaio, indipendentemente dall’effettiva riscossione del corrispettivo della prestazione nei confronti del cliente, ovvero della gratuità della stessa.
Per quanto priva di effetti pratici ai fini IRPEF, la questione della qualificazione degli oneri in esame rileva, invece, ai fini IRAP, poiché, soltanto se detti contributi sono qualificabili come costi inerenti all’attività professionale, essi possono concorrere (in diminuzione) alla formazione del valore della produzione netta (ex art. 8 del DLgs. 446/97).